Nel caso di decesso di uno dei soci di una società di persone, in ipotesi di mancanza di una specifica pattuizione statutaria, si applica in automatico quanto previsto dall’art. 2284 c.c.: << In caso di morte di un socio la società deve liquidare la quota agli eredi, a meno che gli stessi soci non decidano di sciogliere la società o far entrare nella medesima gli eredi e questi vi acconsentano >>.
La normativa in commento si basa sul principio dell’intuitus personae caratterizzante le società di persone, sulla base del quale è escluso il trasferimento automatico della qualità di socio dal de cuis ai suoi eredi. Come chiarito dalla Cassazione (n. 11494 del 12/05/2010, n. 6263 del 23/03/2005 e n. 3671 del 14/03/2001) gli eredi non acquisiscono la qualità di soci, bensì hanno esclusivamente un diritto di credito avente ad oggetto la liquidazione della quota del loro dante causa.
Quindi, nel caso di morte del socio, le possibili soluzioni sono:
a) Liquidare la quota del socio agli eredi - al valore calcolato al momento della morte (art. 2289 c.c.) - mediante il patrimonio sociale. Qualora si opti per la liquidazione degli eredi, come indirettamente confermato dalla Cassazione SS.UU. con sentenza n. 291/2000, questa spetta alla società e non ai soci;
b) Sciogliere la società. Premesso come la decisione in tal senso deve essere presa all’unanimità dai soci superstiti, in tale ipotesi si ritiene che gli eredi non potranno ottenere soddisfazione del loro credito entro 6 mesi (come da art. 2289 c.c.), ma dovranno attendere la conclusione della liquidazione per poi partecipare, insieme agli altri soci, alla divisione dell’eventuale attivo che residuerà una volta pagati i creditori sociali. Secondo l’orientamento prevalente, in considerazione del fatto che gli eredi non acquisiscono automaticamente il ruolo di soci, questi non possono partecipare né alla decisione sulla messa in liquidazione della società né concorrere alla nomina dei liquidatori, decisione che rimane ad appannaggio esclusivo dei soci superstiti (Cass. 3671 del 14/03/2001, n. 11494 del 12/05/2010);
c) Far entrare gli eredi nella compagine sociale.
In tale opzione, intercorrendo un atto inter vivos di modifica del contratto sociale, è necessario che vi sia l’approvazione sia di tutti i soci sia degli eredi. Se solo alcuni eredi consenzienti subentrano nella società per la sola parte di quota che spetta loro, dall’altra parte resta l’obbligo della società di liquidare gli altri eredi che non vogliono entrate nella compagine sociale.
La giurisprudenza è divisa sulla questione se gli eredi entrano nella società come gruppo unico oppure come singoli, acquisendo ciascuno un’autonoma posizione. Su tale aspetto è maggioritaria quest’ultima dottrina, cioè ciascun erede diventa socio in proporzione alla quota di eredità di spettanza, salvo che il contratto sociale non disponga diversamente;
d) I soci, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possono derogare alla disciplina legale di cui sopra, regolamentando pattiziamente le conseguenze, sulla società, della morte di uno di essi (ad esempio liquidazione obbligatoria della quota, scioglimento automatico della società, consolidazione, continuazione, ecc.).
Secondo l’orientamento prevalente, la scelta tra liquidazione della quota, scioglimento della società o prosecuzione della stessa con gli eredi deve essere presa entro 6 mesi dal decesso.
Dott. Caglieri Simone
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