Gli atti di amministrazione delle comproprietà sono regolati dal principio maggioritario: sono decisi dalla maggioranza dei comproprietari.
La maggioranza non si calcola in base non al numero dei comproprietari (alle “teste”), bensì al valore delle quote di cui sono titolari. Inoltre la volontà della maggioranza vincola anche la minoranza dissenziente. Ad esempio se dei tre comproprietari, A e B la pensano in un certo modo e hanno 1/6 ciascuno, mentre i restanti 2/3 sono di C, che la pensa in modo diverso, C da solo ha la maggioranza e la sua volontà prevale su quella di A e B, che devono adeguarsi.
Le maggioranze previste per le deliberazioni sono diverse in base alla tipologia di atti da compiere sulla cosa comune:
Maggioranza semplice (consenso di tanti comproprietari quanti bastano a rappresentare più della metà del valore del bene) utilizzata per i seguenti atti:
- Atti di ordinaria amministrazione;
- Nomina di un amministratore;
- Eventuale formazione di un regolamento per l’ordinaria amministrazione.
Maggioranza qualificata (2/3 delle quote) per gli atti di straordinaria amministrazione, i quali comunque devono rispettare due principi:
- Non devono risultare pregiudizievoli all’interesse di alcun comproprietario;
- Non devono comportare una spesa eccessivamente gravosa.
Unanimità, prevista per:
- Atti di alienazione del bene;
- Costituzione di diritti reali su di esso;
- Locazioni di durata superiore a 9 anni.
Ciascuno di comproprietari rimasti in minoranza può, entro 30 giorni, impugnare davanti all’autorità giudiziaria la deliberazione della maggioranza, che egli consideri affetta da vizi (difetti), e quindi illegittima. Nello specifico una deliberazione può essere soggetta ai seguenti vizi:
Vizi di forma (ad esempio il comproprietario dissenziente non era stato informato dell’oggetto della deliberazione);
Vizi di sostanza (ad esempio l’atto di ordinaria amministrazione è gravemente pregiudizievole alla cosa comune; l’innovazione importa una spesa eccessivamente gravosa, ecc.).
Dott. Caglieri Simone

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